L’indennità di fine rapporto (TFR) rappresenta una forma di tutela economica per il lavoratore al termine del rapporto di lavoro. In caso di divorzio, il coniuge divorziato può avere diritto a una quota del TFR maturato dall’altro coniuge durante il matrimonio. Questo diritto è previsto dall’art. 12 bis della legge 898/1970, che stabilisce che il coniuge divorziato non risposato e titolare dell’assegno di mantenimento post-matrimoniale ha diritto al 40% del TFR accumulato dall’altro coniuge negli anni di matrimonio1.
Il calcolo di questa quota tiene conto del TFR netto, ovvero al netto delle imposte, e si basa sulla durata legale del matrimonio, includendo anche i periodi di separazione2. La Cassazione ha chiarito che per la determinazione della quota spettante, si deve considerare la durata del matrimonio piuttosto che altri fattori come la convivenza o la cessazione della convivenza1.
In sintesi, il diritto al TFR per il coniuge divorziato è un meccanismo pensato per riconoscere il contributo fornito alla vita familiare e alla formazione del patrimonio comune durante il matrimonio, e rappresenta un importante strumento di tutela economica in seguito alla dissoluzione del vincolo matrimoniale.
Le Sezioni Unite Civili (Sentenza Numero: 6229, del 07/03/2024) – pronunciando su contrasto di giurisprudenza – hanno affermato il seguente principio:
«La quota dell’indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell’art. 12-bis della l. n. 898 del 1970, introdotto dall’art. 16 l. n. 74 del 1987, al coniuge titolare dell’assegno divorzile e non passato a nuove nozze, concerne non tutte le erogazioni corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, ma le sole indennità, comunque denominate, che, maturando in quel momento, sono determinate in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell’entità della retribuzione corrisposta al lavoratore; tra esse non è pertanto ricompresa l’indennità di incentivo all’esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro».